A dicembre 2023 si è tenuta a Dubai la COP 28, cioè la conferenza delle nazioni unite riguardanti il clima. Si è conclusa con, per la prima volta dopo 30 anni di negoziati, una “transition way” messa nero su bianco, cioè non l’eliminazione dei combustibili fossili, ma un graduale inutilizzo degli stessi, ritenuti i principali responsabili della crisi climatica.   Ma in sostanza, cos’è cambiato per le aziende e cosa prevede questo nuovo accordo?

L’accordo ottenuto fa parte del primo “bilancio globale” su come i Paesi possono accelerare l’azione per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, che prevedeva la limitazione del riscaldamento globale al di sotto dei 2°C e il proseguimento degli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Sempre sotto al profilo della mitigazione, la COP 28 suggerisce di:  triplicare le fonti rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030; accelerare la riduzione graduale del carbone non abbattuto (“unabated”); ridurre le emissioni di metano – anch’esso menzionato per la prima volta – e quelle sul trasporto su strada; eliminare gradualmente e il prima possibile i sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili.

Questo tema sicuramente sarà impattante per le aziende nei prossimi anni, in quanto l’Italia dovrà adottare dei nuovi regolamenti o sottostare a quelli europei per poter mantenere l’impegno preso.

I punti dai quali le aziende potranno partire sono principalmente l’efficientamento della produzione dell’energia elettrica, la riduzione delle emissioni di metano e il trasporto su strada. Ma come stanno già agendo le imprese in risposta a queste sfide?

Se guardiamo ai livelli di emissione a livello globale, secondo il report di Carbon Majors, nell’industria la stragrande maggioranza delle emissioni globali di CO2 , circa l’80%, è riconducibile a sole 57 società, che, anche dopo l’Accordo di Parigi (2015) hanno continuato senza sosta ad emettere, alcune ampliando anche la propria produzione.

A livello nazionale, invece, dalla ricerca “L’impegno delle aziende italiane per il net-zero”, condotto da Ipsos e dal Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC), solo un’impresa italiana su cinque dichiara di aver adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, e solo il 17% ha fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti.

Interessante anche notare quale sia il freno all’impegno ambientale, infatti per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti, il 27 % per freni burocratici e per un altro 27% la mancanza di figure professionali competenti.

Sicuramente gli investimenti a livello energetico sono ingenti, soprattutto per le PMI, che non vedono in questo un riscontro dal punto di vista economico. Ma, a causa soprattutto delle situazioni a livello globale, bisogna aspettarci un continuo altalenarsi del prezzo dei combustibili fossili (gas, petrolio, ecc.), per cui l’investimento sul green in questo caso vale la candela. Infatti, gli investimenti, per alcune aziende, hanno già generato benefici tangibili. Un quarto delle imprese è riuscito a risparmiare tra l’11 e il 20% di energia, mentre il 22% ha ottenuto anche risparmi più significativi (41-60%)

Al momento, alle aziende non vengono date delle particolari linee guida da seguire, ma aspettiamoci nei prossimi mesi delle integrazioni importanti riguardanti la capacità delle aziende di mitigare i cambiamenti climatici e il loro impegno nel fare questo. Già la ISO 9001 ha introdotto degli emendamenti sull’azione per il clima ISO-IAF, più precisamente, nel paragrafo relativo al contesto, viene aggiunto il seguente periodo “L’organizzazione deve determinare se il cambiamento climatico è un problema rilevante”, mentre per le parti interessate l’aggiunta, espressa come nota, recita: “Le parti interessate rilevanti possono avere aspettative legate al cambiamento climatico”. Inoltre, alcune banche e organi di credito hanno iniziato a chiedere dati riguardanti i GHG emessi dall’azienda. L’azienda può soddisfare queste richieste adottando certificazioni specifiche (ad es. la ISO 14061 riguardante il carboon footprint), altre possono prepararsi in autonomia, o con l’aiuto di professionisti, a richieste di questo tipo.

Ora non è più il momento di aspettare, la COP 28 ha dato una forte svolta sulla riduzione dei gas alteranti, ed è il momento di agire per il bene del pianeta.

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