Recentemente ho assistito ad un dibattito sul tema della sostenibilità nelle imprese famigliari. La riflessione è partita dal concetto di Sostenibilità, da intendersi non solo come sinonimo di green, ma in una prospettiva sistemica che tiene conto dei bisogni attuali e futuri della collettività. Il concetto non si riferisce cioè solo alla dimensione ambientale ma riguarda una visione a tutto tondo della gestione d’impresa in cui ogni dimensione alimenta l’altra (pari opportunità, scelte progettuali, gestione della filiera, comportamenti e scelte strategiche…).
È un tema sempre più rilevante, oggetto anche del legislatore europeo che con la recente adozione della direttiva CSRD –Corporate sustainibility reporting directive- ha ampliato la platea di imprese che, secondo una timeline definita, dovranno redigere il bilancio di sostenibilità secondo degli standard fissati.
Con l’adozione di tale direttiva la Commissione Europea ha introdotto l’obiettivo di migliorare la comunicazione societaria sugli aspetti della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, promuovendo la comparabilità e la trasparenza delle informazioni, per contribuire alla transizione verso un sistema economico e finanziario pienamente sostenibile e inclusivo, in coerenza con il Green Deal europeo, con il Piano UE sulla Finanza Sostenibile, in conformità agli obiettivi dell’Agenda 2030.
Al di là degli obblighi normativi, che però ci danno il “termometro” sull’attualità del tema, è evidente che la sostenibilità stia assumendo notevole rilevanza in tutto il sistema economico coinvolgendo anche le PMI a gestione famigliare. Da un lato perché sono addentro ad una filiera che sta aumentando le richieste alla catena di fornitura, dall’altra perché c’è un tema di attrattività nei confronti del mercato e dell’accesso al credito. Da non sottovalutare poi la forza di attrazione verso i giovani (“nativi sostenibili”) quale valore distintivo che può contribuire ad attrarre giovani risorse ma anche ad aumentare l’engagement di chi è già parte dell’azienda.
Ecco che allora nel dibattito si discuteva su come possono porsi le PMI a gestione famigliare di fronte a tali tematiche.
L’impresa medio piccola è più flessibile e veloce, l’imprenditore è chiamato a decidere oggi sapendo che si tratta di scelte di lungo periodo che rifletteranno la sua visione e la sua capacità di assicurare la sopravvivenza dell’azienda nel tempo, per affrontare i problemi di oggi e di domani. Questo implica innanzitutto la necessità di prendere consapevolezza dei propri impatti ambientali e sociali, di come l’azienda si sviluppa e convive nel territorio.
Soprattutto nei contesti famigliari, diventa determinante la cultura che, a partire dall’imprenditore, si diffonde in azienda e ne determina comportamenti e risultati. Ecco allora che la riflessione del dibattito si ampliava dal concetto di sostenibilità a quello di cultura.
La famiglia è il bacino della cultura. La cultura è l’elemento in grado di distinguere un’azienda dall’altra e in grado di dare forza, continuità e coerenza alle azioni che si decide di intraprendere. La cultura, con la sua capacità di testimoniare o orientare i modi di pensare, le scelte e le azioni, è il motore di uno sviluppo sostenibile. Le azioni e i dati si possono comunicare, la cultura esiste e opera i suoi effetti in modo tacito.
Emergeva così nel dibattito lo spunto ad operare a monte una transizione culturale dal concetto di valore economico a quello di economia del valore, invitando gli imprenditori ad interrogarsi su come orientare la propria impresa verso uno sviluppo economico a misura d’uomo, tenendo conto che la cultura organizzativa nelle imprese famigliari, intesa come l’insieme dei i valori, le credenze e i principi che stanno alla base del sistema di gestione di un’organizzazione, può rappresentare un vero e proprio elemento di vantaggio competitivo.