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Quest’estate, durante le ferie, ho deciso di leggere il libro “Talento ribelle” (edito da Egea) di Francesca Gino, ricercatrice e docente di Business Administration presso la Harvard Business School.
La decisione di leggere questo libro deriva non tanto dalla curiosità suscitata dal titolo, quanto dalla voglia di leggere un testo di Francesca Gino, affermata ricercatrice e docente universitaria, nata nel mio comune e che ho avuto modo di conoscere e di frequentare da ragazzina, prima che partisse per gli studi internazionali e per l’esperienza professionale di altissimo livello che ha fatto.
Il libro è il risultato di oltre un decennio di ricerca e studio della prof.ssa Gino sul tema dei ribelli. Nella pubblicazione, infatti, oltre ad una serie di interessanti considerazioni, sono proposti numerosi casi e situazioni aziendali (dalle boutique di lusso milanesi, ai ristoranti italiani, da una casa di produzione cinematografica ad un’azienda produttrice di computer, …) che supportano quanto descritto e ne rafforzano la credibilità.

Ma chi sono i “ribelli”? Solitamente sono considerati ribelli quelli che non si conformano alle regole, i “bastian contrari”, quelli che non seguono le prassi, che mettono in discussione le procedure e i modi di fare consueti, quelli che faticano a riconoscersi nella tipica frase “si è sempre fatto così”. Insomma, “i ribelli godono di pessima reputazione”.

A fronte di queste premesse, però, la prof.ssa Gino, al termine delle sue ricerche, ritiene che siano, invece, proprio i “ribelli” a migliorare il mondo: sono curiosi, ricercano la novità, amano la diversità, …. Sono loro ad innovare i processi, a trovare soluzioni inimmaginabili a problemi che sembravano insuperabili.
Le ricerche della Gino l’hanno portata anche a tradurre le caratteristiche dei “ribelli” in otto principi che possono guidare una “leadership ribelle”:
1. Cerca la novità: il leader ribelle va continuamente alla ricerca di cose nuove, è vorace ed i suoi interessi sono di ampia portata. Un suo nuovo interesse non ha bisogno di una giustificazione sul momento;
2. Incoraggia il dissenso costruttivo: nei gruppi di lavoro trova modalità per favorire l’emergere di pensieri “fuori dagli schemi”, evitando l’uniformarsi ad un pensiero prevalente sopprimendo le alternative;
3. Apre le conversazioni, non le chiude: la leadership ribelle pone domande, non dà risposte; raccoglie spunti come occasioni ed opportunità, non esprime giudizi; sollecita feedback e apporti di nuove conoscenze, non cerca di chiudere la discussione;
4. Si rileva e riflette: il leader ribelle si mostra com’è, esprime i suoi obiettivi, è trasparente. Nel fare questo spinge gli altri a fare lo stesso e ad esprimersi al meglio. Il focus è sempre quello dei punti di forza da valorizzare e non quello dei punti di debolezza da criticare;
5. Impara tutto e poi dimentica: i ribelli conoscono i loro limiti e sanno che non si finisce mai di imparare. Tutto quello che hanno appreso sono disponibili a “dimenticarlo” per metterlo in discussione e scoprire qualcosa di meglio;
6. Trova la libertà nei limiti: il ribelle supera le costrizioni per raggiungere la libertà che l’attende dall’altra parte. Spesso sono proprio i limiti i vincoli che possono aiutarci ad innovare e a trovare strade alternative e soluzioni creative ai nostri problemi;
7. Guida in trincea: il leader ribelle è sempre a fianco della “ciurma”. Il leader sa mettersi nei panni degli altri per comprendere le difficoltà che questi incontrano nell’interpretare il proprio ruolo nella vita di ogni giorno. Il leader ribelle non è quello che sta “ai piani alti”, nell’ufficio di radica, è quello che si sporca le mani, con entusiasmo, per motivare il gruppo e guidarlo verso il raggiungimento degli obiettivi comuni;
8. Incoraggia gli incidenti fortuiti: i team più “generativi” sono quelli che raccolgo al loro interno persone “diverse”, per formazione, per caratteristiche personali o per interessi. Il leader ribelle favorisce occasioni d’incontro, confronto e condivisione di idee e di progetti tra figure professionali e staff solitamente afferenti ad ambiti aziendali diversi.

Non vi nascondo che, durante la lettura del testo, mi sono immedesimato spesso in situazioni professionali o personali che ho vissuto in questi anni e mi sono ritrovato allineato con numerose considerazioni proposte.
La lettura del testo ha fatto anche sorgere in me due domande, che credo meritino qualche riflessione da parte di ciascuno di noi:
– Nelle nostre aziende cerchiamo e selezioniamo “talenti ribelli” o cerchiamo di evitarli?
Sono consapevole della fatica di gestire un “ribelle”. Solitamente sono persone difficili, che ci sollecitano continuamente, che ci chiedono tempo ed investimento nella cura della relazione.
I risultati del lavoro proposto in questo testo evidenziano, però, come spesso l’innovazione, parola da tutti pronunciata (spesso a sproposito), passi proprio dal contributo di “talenti ribelli”. Se, dunque, vogliamo veramente “innovare” e “rinnovare” le nostre aziende credo che dovremo forse imparare a gestire qualche “talento ribelle”.
– Alla luce del fatto che, come afferma la prof.ssa Gino, un po’ di “talento ribelle” è presente in ciascuno di noi, mi chiedo: quanto lo coltiviamo, lo alimentiamo e cerchiamo di metterlo a frutto? O cerchiamo piuttosto di “tenerlo dormiente” per paura di creare scompiglio, di rompere degli equilibri e delle “comfort zone” nelle quali forse anche noi, in fondo, stiamo bene?

In queste poche righe ho voluto riprendere alcuni spunti che il testo della prof.ssa Gino mi ha dato, ma non mi resta che consigliarvene la lettura completa, sicuramente degna di merito.
Buona lettura!!!

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