“Solo ciò che è misurabile è migliorabile”. Mai frase fu più vera da quando, attraverso processi di digitalizzazione, sempre più informazioni sono rese disponibili sotto forma di dati. Già il dato. Una piccolissima quantità di conoscenza, che di per sé non ha alcun valore se non si estrae la sua “intelligenza”, ovvero l’informazione tramite un processo di analisi. Questo potenziale è ben conosciuto nel settore del marketing, dove gli algoritmi dei social network riescono a raccogliere moltissime informazioni riguardo gli iscritti e che consentono la vendita di pubblicità altamente profilata alle aziende.

È così possibile valutare l’andamento delle nostre campagne di advertising, sapere quanti clienti hanno cliccato, cosa hanno guardato, per quanto tempo. Praticamente tutto è misurabile e quindi anche migliorabile, agendo sul contenuto del post, sul posizionamento, sul budget, sulla tipologia di pubblico.

Accanto a questi fattori indubbiamente positivi esiste anche un risvolto molto delicato relativo all’esistenza di un limite nell’utilizzo di dati. In una recente commedia di PIF (Pierfrancesco Diliberto) del 2021 dal titolo “E noi come str***i rimanemmo a guardare”, si racconta la storia di Arturo, manager di una grande azienda che, dopo aver progettato un algoritmo in grado di scovare le inefficienze aziendali, si trova lui stesso licenziato dalla sua stessa “creatura”. Come se non bastasse viene pure lasciato dalla compagna perché un’app dichiara “che la coppia non è compatibile al 100%”. Ma la parte più interessante riguarda la presenza di un servizio, in grado di proiettare un ologramma di una fidanzata ideale, che conosce perfettamente Arturo grazie a tutti i dati raccolti da un algoritmo. Questa diventerà la sua compagna di vita virtuale previo il pagamento di un costoso abbonamento mensile.

È vero, il film presenta a tratti degli aspetti distopici ed assurdi, ancora troppo lontani dalla nostra concezione di realtà. Ma è innegabile che bisognerà creare una regolamentazione comune sull’utilizzo dei nostri dati.

Nessuno nega che la digitalizzazione migliori notevolmente la qualità delle nostre vite, basti pensare all’ambito sanitario, o ai dispostivi di frenata assistita sulle macchine (senza spingerci alle auto a guida autonoma ormai vicine ad essere lanciate sul mercato).

Sarà però necessario trovare un equilibrio per evitare abusi nell’utilizzo dei dati.

Come afferma lo scrittore Yuval Noah Harari nel suo libro “21 lezioni per il XXI° secolo”, la tecnologia non è di per sé né buona né cattiva. Spetta invece all’essere umano deciderne il suo utilizzo.

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